Al di là di Damato

Roberto Beccantini21 dicembre 2012

Molle e supponente, la Juventus ha regalato un tempo, eppure: tre gol, due pali, miracoli di Agazzi, un rigore sbagliato. Vero, il Cagliari ha chiuso in nove (Astori espulso, Ekdal zoppo). Vero anche, però, che è successo di tutto. Spiace dover parlare di un arbitraggio pessimo, ma non posso farne a meno. Cellino si è detto «disgustato» del calcio. Sapesse il calcio…

Nel dettaglio. Se era rigore il contatto Vidal-Sau, segnalato da Orsato a Damato, lo era, a maggior ragione, quello tra Astori e Quagliarella al 39’: e Astori era già ammonito (come Murru, graziato in avvio di secondo tempo e subito sostituito, alla Lichtsteiner di Juventus-Inter). Avanti pure: come abbia fatto Orsato a non suggerire a Damato la spallata di Nainggolan ad Asamoah resta un mistero: sarebbe stato rigore più espulsione. Hanno parlato di fuorigioco del ghanese. Visto e rivisto: mah. Rigore poi fischiato, e fallito da Vidal, per un contatto Del Fabro-Giovinco (vedi Vidal-Sau). Per concludere, il secondo gol di Matri è stato propiziato da un rinvio di Nené su un braccio di Vidal, sempre lui, incollato al corpo: per me, involontario; per il trend stagionale, sanzionabile.

Veniva da quattro sconfitte, il Cagliari. Ha giocato con la rabbia di chi lamenta un grave torto: il rifiuto dell’avversario a giocare nel suo stadio. Il deserto di Parma è stato testimone di un’ordalia che, alla storia, tramanderà solo Damato e la doppietta del risuscitato Matri. La partita è stata cambiata dal rosso ad Astori (20’ st) e dagli ingressi di Padoin, Vucinic e di Matri, appunto. La vigilia del tecnico era stata tutta uno sprone, un comizio. Immagino che avesse fiutato qualcosa di morbido. Con Thiago Ribeiro su Pirlo, i sardi avevano imprigionato i campioni. Il tremendismo di Naingoolan non è bastato. Dodici vittorie su dodici, 36 punti su 36: è proprio una Juventus mangia-piccoli.

Lo scandalo

Roberto Beccantini21 dicembre 2012

Lo scandalo non è il rifiuto con il quale la Juventus, secondo Massimo Cellino, padrone e presidente del Cagliari, avrebbe liquidato la possibilità di giocare la sfida odierna allo stadio Is Arenas di Quartu Sant’Elena. Come se alla Juventus, e non alle autorità competenti, fosse spettata, e spettasse, l’ultima parola.

Lo scandalo non è lo 0-3 a tavolino assegnato alla Roma dopo che Cellino aveva invitato i tifosi del Cagliari dentro uno stadio che il prefetto aveva vietato al pubblico. La partita non si giocò e, dunque, non venne falsata: sarebbe stato più opportuno punire il club sardo senza premiare la Roma, ma i tornanti del regolamento lo consentivano.

Lo scandalo, il vero scandalo, è che nel campionato italiano di serie A, la nostra Nba, ci sia una società che non ha un impianto fisso – o abbastanza fisso e sicuro, mettiamola così – nel quale disputare le partite casalinghe. Dalla scorsa stagione il Cagliari deambula fra Trieste, Quartu e Parma. A porte chiuse, semichiuse o semiaperte. Sto parlando del simbolo di un’isola cara a noi tutti, della squadra che Gigi Riva portò allo scudetto nel 1970, di un patrimonio del nostro sport.

Lo scandalo è questo: le deroghe della Lega, il ping pong tra Cellino e il coté politico, dal cui polverone non è facile distinguere torti e ragioni, l’idea forzata dell’arena ambulante, perché sì, siamo in Italia, e ogni regola ha la sua eccezione, ogni diritto il suo rovescio, ogni domicilio la sua prolunga.

E’ mai possibile che, a fine 2012, il club di una delle prime cinque Leghe europee debba elemosinare all’avversario di turno il permesso di giocare «qui piuttosto che là»? «Noi la stella l’abbiamo sul cuore, non siamo coinvolti in scandali», ha dichiarato Cellino. Scusi, presidente: ma questo gran casino dello stadio che cos’è, se non uno scandalo?

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Roberto Beccantini16 dicembre 2012

Tutto in mezz’ora, come con la Roma. Tre gol e l’uomo in più (Manfredini espulso, doppio giallo). La Juventus di Conte diverte e si diverte: non capita spesso, in Italia. L’Atalanta aveva battuto il Milan a San Siro (il «primo» Milan, non questo), il Napoli e l’Inter in casa. Credo che Colantuono abbia sbagliato a insistere con la difesa a tre, ma sono dettagli.

E’ stata una prova di bel calcio alla quale hanno contribuito tutti: anche Buffon, provvidenziale su Denis in avvio. La scorsa stagione, erano stati proprio gli avversari di media cilindrata a creare problemi alla Juventus. Conte la stava costruendo, ignaro anch’egli, penso, dei limiti, delle risorse, dei traguardi. Oggi, contro gli stessi rivali, i campioni sono diventati un rullo. Se escludiamo i confronti con le prime sette, che hanno fruttato otto punti, le sfide cone le formazioni dall’ottavo all’ultimo posto ne hanno prodotti 33 su 33. Nel dettaglio: 2-0 Parma, 4-1 Udinese, 3-1 Genoa, 2-0 Chievo, 2-1 Siena, 1-0 Catania, 2-1 Bologna, 6-1 Pescara, 3-0 Torino, 1-0 Palermo, 3-0 Atalanta.

Eppure quanto volte abbiamo scritto che la Juventus gioca, più o meno, sempre allo stesso modo e che in alcuni casi, Lucescu dixit, è prevedibile? Prima cosa: quando è in forma, pratica una manovra avvolgente e poco italiana. Seconda cosa: la marcia in Champions ha accentuato l’autostima, pagata con qualche calo di tensione (Milan).

Non è imbattibile, e lo ha dimostrato. E’ però, di gran lunga, la squadra più squadra del nostro campionato. La più regolare. Rispetto a un dicembre fa, i punti in più sono quattro; i gol realizzati in più, otto; quelli subìti in meno, uno. La base resta la difesa. E’ migliorato il fatturato offensivo: anche stavolta tre marcatori diversi (Vucinic, Pirlo, Marchisio) su tre situazioni differenti (taglio in area, punizione, scarico e tiro da fuori). L’anti-Juventus, oggi, è la Juventus. Nessuna fuga, però: siamo appena a metà strada.